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Archivio / Teatro

Lear. La storia

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Lear. La storia

Il potere è maschio in un mondo senza bellezza

Il re Lear di Mariano Rigillo e del regista Dipasquale avrà una corona di spine in testa, come a dire che anche lui è condannato al sacrificio dopo avere scoperto le false adulazioni delle due figlie e la sincerità della terza che, senza indulgere, era quella che lo amava.

Lear è una storia sul potere, ma il potere non si trasmette se chi lo eredita non ne possiede il vigore, se non sa essere fedele al mandato; inoltre, Lear è parte tanto del male, quanto del bene, tanto da essere considerata anche la tragedia del doppio: quello del potere e della perdita, del sacro e del profano, dell’amore e della simulazione, della sapienza e della follia (rappresentata dal Matto che, in verità, è l’unico savio), dell’amore paterno e del disconoscimento dei figli.

Una lettura diversa dalle precedenti, quella di Dipasquale, con un Rigillo al culmine della sua carriera che fa di Lear un re dolente, stanco e amareggiato, a cui dona una forza impressionante, dando corpo a vecchio dolente e sfatto che ritorna bambino dinanzi al dolore immane di essersi sbagliato: la bontà non gli è appartenuta, ma pretende il rispetto della carica. Toglierglielo equivale a ucciderlo.

L'adattamento del regista mette in luce l’errato utilizzo del potere e le funeste conseguenze che investono coloro contro cui è esercitato, che porta alla tragedia finale. Rispettando il testo shakespeariano, il regista preserva la bellezza poetica dell'opera originale e nel frattempo, rende chiara la sua personale chiave di lettura.
Giornale di Sicilia