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Il Maggiore Barbara

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Il Maggiore Barbara

Appunti sul lavoro di regia

dal volume Il Maggiore Barbara di George Bernard Shaw
traduzione e adattamento di Andrée Ruth Shammah, Istituto Editoriale Universitario, Milano 1980.

L’unica “spiegazione” possibile di uno spettacolo è lo spettacolo stesso. Questa piccola cronaca del lavoro di regia non intende quindi “spiegare” le scelte compiute, ma narrare, in sintesi, tentativi successivi che hanno portato a tali scelte. Perché di successivi avvicinamenti si è trattato: lo spettacolo non è nato come uno schema a priori in cui inserire i vari elementi della recitazione, dello spazio, della luce e della musica, ma come un lavoro progressivo di scavo, elaborazione. Con una costante, che Andrée Ruth Shammah ha fatto sua fin dall’inizio: quella di tentare fino in fondo la strada di una aderenza senza riserve alla provocazione di Shaw, per riuscire a trasmettere quello sconcerto e quel fascino che il testo suscita in prima lettura.

La scelta iniziale di mettere in scena Il Maggiore Barbara era maturata durante l’estate. Franco Parenti, in caccia di autori e testi che rispondessero alla linea della cooperativa – una linea teatrale di idee e parole, capace di dividere e appassionare, di divertire l’intelligenza critica del pubblico, parlando delle malattie della strana società che ci è toccata in sorte – si era, quasi naturalmente, riletto Il Maggiore Barbara. Che l’intuizione fosse giusta e ricca di possibilità era stato subito evidente dall’interesse e dalla curiosità che la scelta suscitava negli amici appassionati di teatro ma non solo in quelli. Inoltre da varie parti dell’Europa giungevano notizie che riguardavano vari allestimenti dello stesso testo, un segno indubbio della sua capacità di narrare l’oggi.

Partito dunque Franco Parenti per l’impegnativa tournée de La palla al piede, Andrée iniziava una serie di discussioni informali sul testo e sull’operazione di regia. Discussioni eccitanti, giacché gli stimoli che scaturivano dalla lettura spingevano verso piani di lettura diversi ma ognuno con il suo grado di tentazione. Naturalmente il principale ’tentatore’ era proprio il personaggio di Andrea Undershaft, che provocava rabbia, quasi ostilità per la sua onnipotenza, la sua sovrumana capacità di dominare gli eventi, la sua abilità ad anticipare addirittura le battute degli altri, ma insieme c’era, in questo odio, una sorta di fatale amore verso quel carattere maligno e violento, quasi un’attrazione difficile da negare verso una logica di potere assoluto e dominante. La suggestione dunque oscillava tra la voglia di ridimensionare in qualche modo la presenza di Undershaft e quella, al contrario, di celebrare fino in fondo la sua vittoria. E, speculare alla vicenda di Undershaft, quella di Barbara pareva quasi richiamare la storia di molti figli e figlie dell’alta borghesia, passati dal pugno chiuso alla vergogna per quel pugno fino all’esaltazione per il capitalismo selvaggio. Ma nonostante questo in Barbara non poteva fare a meno di colpire il suo coraggio, la sfida continua che si rivelava nel suo monologo finale, in quel furore che vuole andare oltre il principio di realtà di cui il padre e degno principe.

La via rischiosa, ma avvincente, che si è cercato di seguire è stata quella di non negare l’uno o l’altro degli elementi, di non far pendere coscientemente l’ago della bilancia a favore di uno dei due contendenti, ma di portare alle estreme conseguenze il discorso di ciascuno, lasciando all’immaginazione e al desiderio del pubblico la reale soluzione del contrasto. In sostanza i problemi drammaturgici si venivano delineando intorno a tre temi centrali.

Il primo era quello dell’epoca della vicenda. Attualizzare, non attualizzare, vecchio dilemma, che il Teatro Pier Lombardo si e già trovato di fronte nel corso del lavoro sul Misantropo di Molière, ideato da Franco Parenti. […]
Il secondo tema, direttamente collegato al precedente, era quello dell’Esercito della Salvezza. Che cos’è oggi l’Esercito della Salvezza? Con quali parole, con quali gesti, si affaccia oggi alla ribalta quel sentimento religioso che è diventato uno dei protagonisti degli anni contemporanei? […]
Infine l’ultimo tema ce l’aveva suggerito lo stesso Shaw, quando, nella prefazione scritta dopo le prime rappresentazioni, protestava di non aver mai letto Nietzsche, ma di essersi piuttosto riferito ad altri scrittori inglesi. Proprio questo sottolineava un punto di impressionante attualità del testo, un punto che certo oggi, con la valutazione e l’attenzione sviluppatasi verso quel pensiero, è più agevole cogliere. […]
Il tema conduttore di tutta la storia rimaneva più chiaramente, in questo modo, il viaggio di Undershaft che discende dal suo paradiso, armato della bacchetta magica del denaro, per attraversare l’inferno dei sentimenti borghesi e il purgatorio dell’Esercito. Il testo ci appariva, dopo questo lavoro drammaturgico, come una parabola di sapore fiabesco che si svolgeva in un tempo e in un luogo tutti da inventare.

Lo spazio teatrale: come riuscire a rendere evidenti il fatto che la realtà ultima e dominante è proprio quella della fabbrica, un moderno paradiso terrestre e industriale? Fin dall’inizio delle discussioni Andrée ha lanciato l’idea di far diventare tutto il teatro, galleria, platea e palcoscenico, questo luogo ultimo e totalizzante. A partire da questa strada è stato naturale fare del palcoscenico, luogo teatrale tradizionale, il momento della tradizione borghese e, al contrario, scendere in basso, nella platea per realizzare una sorta di cava, inferiore ma più tangibile, dove si vive la misera vita dei poveri dell’Esercito. Tre mondi distinti che s’intersecano tra di loro solo grazie al tragitto di Undershaft. Ma il tutto doveva essere immerso in una luce non realistica, un alone fiabesco appunto, dove gli elementi di realtà potessero diventare come immagini ritagliate nel tessuto del sogno.

Cosi è nata l’idea di disegnare tutto il racconto all’interno di un materiale gelido e avveniristico, un tempo senza tempo, che avvolge al proprio interno all’inizio un salotto borghese, crudelmente rappresentato in pochi metri concentrati, un affollato e fastidioso susseguirsi di sedie e divanetti, un materiale capace poi di riverberare di luce lontana la penombra ampia in cui si svolge l’azione dell’Esercito, e di esplodere infine in una luminosità fantascientifica e abbagliante nell’universo di Undershaft. Non è stata una scelta facile.

– Gaetano Sansone

Lo spettacolo del Pier Lombardo, diretto e ideato, anche drammaturgicamente da Andrée Shammah, bisogna riconoscere che è forse il più impegnato e curato di quanti ne abbia realizzati finora questo gruppo.

– Roberto De Monticelli, Corriere della Sera

Il Maggiore Barbara

Teatro

Il Maggiore Barbara

1979 - 1980 Cartellone
Produzione