Archivio / Teatro

Il gatto

Archivio / Teatro

Il gatto

I coniugi Émile e Marguerite non si parlano. La comunicazione tra loro è affidata a feroci bigliettini. La data di nascita del loro silenzio coincide con il giorno della morte dell’amato gatto di Émile. Prigionieri in un matrimonio che ha ceduto il passo a un bieco e beffardo conflitto permanente, i due coniugi conducono vite completamente indipendenti con il timore paranoico di essere avvelenati dall’altro. Forse le origini della loro guerra domestica sono da ricercare ben prima della morte del gatto.

Troppo diversi tra loro, Émile e Marguerite non si sono mai veramente sopportati. Lei, di origine piccolo borghese e dai modi fin troppo affettati; lui, ruvido capomastro in
pensione, amante dei sigari e del vino rosso. Marguerite non si è mai liberata del ricordo del suo primo marito violinista ed Émile rimpiange la sua prima moglie morta troppo presto.

Tutto cade a pezzi, si frantuma e disintegra sotto il peso del disprezzo e della rabbia, ma i due non si separano. Il desiderio di libertà e la paura della solitudine si mescolano e confondono in una perturbante prossimità. L’odio li tiene uniti. Fino all’ultimo respiro trovano la forza di torturarsi negandosi ostinatamente l’unica cosa che, forse, avrebbe potuto restituire una profondità autentica alla loro vita: l’amore.

Il gatto di Simenon ci consegna personaggi che possiedono una caleidoscopica complessità e una vibrante vocazione teatrale; è un testo feroce che rovista tra le pieghe della mente e le incrinature del cuore dei protagonisti, descritti con uno sguardo crudo e spietato. La morte dell’amato gatto di lui per avvelenamento è la miccia che accende l’odio e fa crollare l’esile impalcatura della loro relazione e della loro intera esistenza. L’uomo, convinto, non a sproposito, che il crimine sia stato compiuto dalla moglie, si scaglia furioso sul pappagallo di lei, trucidandolo.
Roberto Valerio