Archivio / Teatro

Il dio di Roserio

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Il dio di Roserio

Una corsa allucinata. Una sfida fra l’astro nascente del ciclismo Dante Pessina e il suo gregario Sergio Consonni, si trasforma e si deforma – nell’esordio narrativo di Giovanni Testori (1954) – in un potente apologo morale contro la degradazione delle coscienze nell’Italia del secondo dopoguerra. Il gregario, diventato ‘scemo’ a causa di una caduta intenzionalmente causata dal ‘dio di Roserio’, arranca nella memoria perduta nel tentativo di ritrovare la propria voce.
“…‘Verbalizzare’ il grumo dell’esistenza, far sì che la carne si rifaccia ‘verbo’ per verificare le sue inesplicabili ragioni di violenza, di passione e di bestemmia; e ricadere poi, di nuovo, nel suo fango tenebroso e cieco.” Queste considerazioni di Testori a proposito del teatro esprimono meglio di qualunque preambolo a quale dirompente forza d’urto possa trascinarci, a volerla attivare, la sua lingua di scena.
E in questo primo tormentato capitolo del suo romanzo d’esordio la parola torna a farsi nitidamente strumento di un arcaico Rito teatrale.

È ormai evidente che Fabrizio Gifuni è un talento anomalo, capace di offrire trascinanti prove di bravura soprattutto quando si impegna in certe imprese solitarie, nelle quali trae linfa dal confronto con ardui testi di matrice letteraria. (…) Gifuni esalta lo stile di Testori con una mostruosa tecnica recitativa: sembra che lo sguardo del corridore sia fermo, e si muova il mondo attorno a lui.

Renato Palazzi