Archivio / Teatro

Il caso Braibanti

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Il caso Braibanti

Nel giugno 1968, mentre nel mondo infiammava la Contestazione e giovani e intellettuali chiedevano più libertà e più diritti, in Italia si apriva il processo-farsa a Braibanti “per aver assoggettato fisicamente e psichicamente” il ventunenne Giovanni Sanfratello. In realtà il ragazzo, in fuga da una famiglia autoritaria e bigotta, una volta raggiunta la maggiore età aveva deciso di seguire le proprie inclinazioni ed era andato a vivere a Roma con il poeta.

Non accettando l’omosessualità del figlio, il padre affidò Giovanni agli psichiatri con la speranza di guarirlo dalla “seduzione” che avrebbe subito, e accusò Braibanti di plagio. Molti intellettuali denunciarono lo scandalo di un processo montato ad arte dalla destra più reazionaria del Paese in combutta con esponenti del clero e della “psichiatria di regime”.

In favore di Braibanti intervennero Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Umberto Eco, Marco Pannella, Cesare Musatti, Dacia Maraini. Tutti i loro appelli caddero nel vuoto.

Un “oratorio civile” scandito dalle incursioni del sax live di Mauro Verrone in cui Fabio Bussotti e Mauro Conte interpretano non solo i ruoli dei due protagonisti, ma diventano all’occasione gli avvocati o i genitori dando così una gran prova d’attore.

Il testo costruito da Massimiliano Palmese su documenti d’archivio, lettere e testimonianze, ricostruisce tutte le fasi del processo.

La società italiana del dopoguerra, addirittura del movimentato ’68, viene svergognata per un processo-farsa in un testo, ‘Il caso Braibanti’ di Massimiliano Palmese, a cui la regia lucida e umana di Giuseppe Marini e le sentitissime interpretazioni di Fabio Bussotti e Mauro Conte riservano momenti di grande etica. E di intollerabile scandalo.
Rodolfo Di Giammarco - la Repubblica
Un bello spettacolo di Massimiliano Palmese. Un testo narrativo costruito su documenti, lettere, arringhe, che la regia di Giuseppe Marini rende vivo solo con precise caratterizzazioni delle voci che via via assumono i due protagonisti, Fabio Bussotti e Mauro Conte, sempre intensi e veri, mai retorici. Questo grazie anche a un bel ritmo incalzante, che crea tensione, sostenuto dal sax di Mauro Verrone, che interviene dal vivo.
Paolo Petroni - Corriere della Sera

Poco o niente c’è nel testo teatrale che non provenga direttamente dagli atti del processo, o da articoli di giornale con interviste ai protagonisti o commenti che intellettuali e artisti hanno riservato alla discussa sentenza. Le lettere di Braibanti alla madre sono originali, e la poesia finale è dell’autore.

Il testo trova il giusto tono nell’equilibrio tra satira di costume e dramma psicologico, per tenere insieme le parole degli avvocati, così violente, alle loro tesi, così ridicole. A tratti divertenti sono gli interrogatori e le arringhe, mentre sono agghiaccianti le dichiarazioni omofobiche dei cosiddetti “periti”. Per non parlare delle cartelle cliniche firmate dagli “specialisti in malattie nervose” delle cliniche dove fu rinchiuso il giovane Giovanni Sanfratello.

Se oggi il nostro Paese è sempre in coda nell’aggiornarsi in tema di diritti civili, e a distanza di oltre quattro decenni ancora si oppone all’adozione per le coppie omosessuali o a una legge contro l’omofobia, vuol dire che Il caso Braibanti non è pagina del passato ma storia presente, che può e deve, ancora, farci sussultare – Massimiliano Palmese