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Macbetto

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Macbetto

Note di regia

La materia di questo spettacolo: un lungo poema barbarico che racconta la storia di una umanità che si distrugge in un mondo sconvolto dalle guerre e dal sangue; una umanità che vive le sue crisi e si consuma fino in fondo nel suo compito; una povera umanità che trova nella storia di Macbetto il concretarsi delle sue paure e dei suoi intorbimenti, delle sue fatiche e delle sue ingenuità. Il mondo come luogo desolato: un muro di una chiesa sconsacrata e ormai destinata ad altro uso, dove però tutto si colora ancora di religione e di sacro.

Una materia difficile: dove tutto è affidato al potere evocativo della parola, alludendo a un mondo teatrale informe che raccoglie i cascami della tragedia greca e dell’opera verdiana, delle rappresentazioni medievali e dei clown shakespeariani. Un modo teatrale che lo spettacolo deve rinchiudere in una formula compiuta, nuova, ma che il pubblico deve riconoscere. Si potevano inventare mille fantasticherie, si è elaborata questa che vorrebbe essere la più semplice, la più artigianale, dove la durezza aspra del linguaggio viene accentuata dalla cadenza spezzata e gutturale delle voci, e dove i movimenti dovrebbero risultare come le pulsazioni interne d’une azione inesorabile.

– Andrée Ruth Shammah

Ed eccellente è lo spettacolo, appunto perché Andrée Ruth Shammah, la giovanissima regista, giovandosi della scena e dei giustissimi costumi di Gianmaurizio Fercioni e del gusto musicale di Fiorenzo Carpi, ha trovato una misura, esattissima, di guitteria stracciona, strampalata e però commovente. La Shammah ha giocato benone, per esempio, la carta del coro, una delle migliori offerte da Testori: una sorta di indistinto gregge umano, che esprime tutto. […] Parenti un Macbetto intensissimo al di là del pittoresco spassoso, la Benedetti una Ledi di furente terrestrità.

– Sergio Cabassi, Il Resto del Carlino